Avete mai pensato a quanto una valigia, spesso, racconti più di 1000 parole una persona? Non sempre, certo, non alla perfezione, ovviamente, ma spesso e volentieri basta guardare cosa ci è stato messo dentro per capire chi abbiamo di fronte (e alcune delle sue paure “di viaggio”). La descizione del libro definisce le dimensioni standard del bagaglio a mano, 55x40x20, come “uno spazio ristretto in cui dobbiamo infilare quello che sentiamo di essere e quello che vorremmo essere nel viaggio che stiamo per iniziare”: una affermazione che mi ha portata a riflettere sui viaggi, sul preparare le valigie e riguardo, soprattutto, a come io per prima mi preparo ad ogni singolo viaggio partendo proprio dal mio bagaglio!
Tutti, almeno una volta, ci siamo trovati a combattere con la quantità infinita di vestiti che vorremmo portare con noi e lo spazio che purtroppo non basta: non mi sono trovata sempre d’accordo con le affermazioni dell’autrice, soprattutto perché non mi ci rispecchiavo, ma questo non ha influito sul fatto che Marta Perego mi ha portata a pensare a me stessa, le mie valigie ed al come si è evoluto e continua a trasformarsi il mio rapporto con la mia valigia. Un aspetto messo in luce dall’autrice e con cui mi sono trovata d’accordo quasi completamente è che quelle misure, 55x40x20 cm, rappresentano lo spazio in cui andiamo a mettere gli aspetti di noi che vogliamo portarci in viaggio e dai quali lasciamo fuori tutto ciò che, in quel momento, vorremmo lasciarci dietro. Il consiglio più importante del libro? Avere tutto sotto controllo è assolutamente impossibile e un trolley è perfetto per portare con noi solo ciò di cui abbiamo bisogno per il periodo di tempo che passeremo lontano da casa e per riportare poi indietro una versone diversa e, forse, migliore di noi stessi.
Interessanti sono gli “esercizi” proposti alla fine di ogni capitolo, destinati a farci confrontare in maniera consapevole il bagaglio che reputiamo ideale con quello che dovebbe essere in realtà: mettere nero su bianco come facciamo i bagagli, spesso fallendo miseramente, e accanto riportare la versione “più che sufficiente, è un modo perfetto per renderci conto del “problema”ed autoregolarci.
Come dicevo inizialmente non mi sono trovata ad essere sempre d’accordo con l’autrice, ma due cose mi hanno trovata d’accordo: innanzi tutto che da ogni viaggio torniamo in una nuova versione di noi stessi, di solito migliorata, e lasciarsi dietro determinate cose (aspetti del carattere, vestiti che a casa non riutilizzeremo e così via); in secondo luogo credo che il momento del viaggio, di piacere o lavoro che sia, è un momento in cui possiamo anche osare e provare una versione di noi stessi leggermente diversa da quella solita che rappresenta la nostra comfort zone.
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